LA POESIA COMICO-REALISTICA



 Dalla metà del Duecento si diffuse in Toscana e in Umbria una poesia giocosa, di carattere realista. L'invettiva, la bestemmia, la ribellione, la comicità prendono il posto della bellezza ideale. Figura letteraria di un certo rilievo fu il fiorentino Rustico di Filippo (circa 1230-1300), che godette di grande fama e ha lasciato 58 sonetti nei quali sul motivo dell'amore è ancora preponderante la lezione siculo-guittoniana, mentre rispetto al genere comico si intravedono soluzioni originali. Altre figure di rilievo furono il senese Meo de' Tolomei (nato attorno al 1260), autore di sonetti dall'intenso gusto caricaturale; il giullare aretino Cenne della Chitarra (morto già nel 1336), che cantò e descrisse scene di vita rustica. Tuttavia i due poeti comico-realisti più grandi furono Folgore da San Gimignano e Cecco Angiolieri.

 

Folgore da San Gimignano

Folgore da San Gimignano (circa 1270 - circa 1330), pseudonimo di Giacomo di Michele, fu al servizio di Siena: per i meriti riportati in alcune campagne, come quella contro Pistoia (1305), ottenne l'investitura a cavaliere. Di lui rimangono circa una trentina di sonetti, in maggior parte raccolti in due "corone", una di otto composizioni dedicate ai giorni della settimana (Sonetti de la semana) e l'altra di quattordici, intitolata Sonetti de' mesi. Folgore riprende l'antica poetica provenzale, ma la inserisce in maniera gradevole e cordiale entro la cornice del mondo comunale toscano. La sua indole serena si manifesta nell'eleganza dei gesti, nella raffinatezza degli oggetti, nella ricerca di una condizione di vita piacevole per sé e per gli altri.

 

Cecco Angiolieri

Del senese Cecco Angiolieri (circa 1260 - morto prima del 1313) si conoscono solo pochi episodi marginali della vita, come le multe per infrazioni alla vita militare, la sua morte in miseria, il rifiuto da parte dei figli della sua eredità, perché condizionata da molti debiti. Queste le ragioni per cui la critica romantica ha dato una facile ed erronea interpretazione autobiografica della sua opera. Sono attribuiti ad Angiolieri 112 sonetti distinti a fatica dalle numerose imitazioni; rare sono le rime amorose secondo il gusto di Guittone d'Arezzo, mentre nel suo canzoniere domina il registro comico-realistico. La sua poesia è costruita sul rovesciamento del modello stilnovista e sulla raffinata parodia di molti generi cortesi: il plazer (elenco di cose desiderabili), l'enueg (elenco di sgradevolezze), il contrasto e così via. L'appassionato spirito invettivo, o addirittura aggressivo, non deve far dimenticare l'aspetto di gioco letterario: il romanzo d'amore tra Cecco e Becchina, che al poeta ha preferito un marito ricco, riprende in forma parodistica il genere del contrasto. A livello tematico, il suo universo poetico è organizzato intorno a un limitato numero di motivi emblematici, così riassunti dal poeta stesso: "la donna, la taverna e il dado". Quasi certamente "letterario" è l'autoritratto di personaggio maledetto che il poeta dà di sé nei suoi testi.

 


FABRIZIO DE ANDRE' INTERPRETA LA POESIA DI CECCO AGIOLIERI: S'ì FOSSE FOCO.... ascoltala con attenzione


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 Scheda sintetica dell'opera


·         Autore Cecco Angiolieri

·         Titolo dell'Opera Rime

·         Data Tra la fine del XIII e l'inizio del XIV sec.

·         Genere Poesia lirica

·         Forma metrica Sonetto con rime alternate nelle quartine e incatenate nelle terzine. Lo schema è ABBA, ABBA; CDC, DCD. Parole in rima: mondo, profondo, giocondo, tondo; tempestarei, annegherei (rima imperfetta), imbrigarei, farei; padre, madre, leggiadre; lui, fui, altrui

 

Testo dell'opera

1. S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo;
2. s’i’ fosse vento, lo tempestarei;
3. s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
4. s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;

5. s’i’ fosse papa, serei allor giocondo,
6. ché tutti cristïani embrigarei;
7. s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei?
8. a tutti mozzarei lo capo a tondo.

9. S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;

10. s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:

11. similemente faria da mi’ madre,

12. S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,

13. torrei le donne giovani e leggiadre:

14. le vecchie e laide lasserei altrui.

 

Il genere letterario cui appartiene il sonetto S’i’ fosse foco è quello della cosiddetta “poesia comico-parodica”, che discende dalla tradizione goliardica medievale e si pone in contrasto con la linea poetica dominante, impiegando uno stile basso per trattare argomenti quotidiani: l’intento è rovesciare sistematicamente le convenzioni per creare comicità e parodiare abilmente i generi elevati.

In particolare, la corrente realistica a cui fa capo Cecco Angiolieri tende a porsi in uno spirito di contrapposizione nei confronti del dolce stilnovo, rovesciando i tòpoi propri della raffinatissima corrente a cui fanno capo – tra i più noti – Dante Alighieri, Guido Cavalcanti e Guido Guinizzelli.

Dunque, il tono dissacratorio e volutamente provocatorio del componimento S’i’ fosse foco non è da interpretare letteralmente, come uno sfogo estemporaneo contro Dio, il mondo e la propria famiglia, bensì va inteso come un raffinatissimo gioco letterario, sorretto da una forma stilistica estremamente elaborata: le ripetute anafore, oltre a facilitare la memorizzazione, creano, infatti, una studiata struttura simmetrica, che determina un tono ossessivo di continua ripetizione dello stesso tema della distruzione, presentato in forme totalmente iperboliche. Proprio le continue iperboli fanno intuire che nulla di quanto viene detto deve essere preso sul serio. Dal momento che il sonetto vuole essere una presa in giro e un rovesciamento parodico dei generi “seri” ed “ufficiali”, ovviamente Cecco Angiolieri presuppone che il lettore conosca questi ultimi, per poterne apprezzare la parodia. Ad esempio, la struttura del sonetto richiama in modo antifrastico quella del plazer di origine provenzale: mentre lì erano elencate una serie di cose piacevoli, qui, invece, i desideri elencati sono irrealistici e volutamente catastrofici.

Con una forte anticlimax, si parte dalla menzione dei quattro elementi da cui ha avuto tradizionalmente origine il cosmo (fuoco, acqua, vento, Dio), per passare alle due potenze che reggono il mondo medievale (papa e imperatore), fino ad arrivare alla famiglia del poeta (padre e madre), per concludere, poi, con la menzione del poeta stesso al verso 12 (s’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui..). Il tono parodico è inoltre palesato dall’evidente abbassamento del tono nell’ultima terzina, burlesca e divertita: mentre prima prevalgono gli eccessi e le immagini iperboliche, ora il poeta si presenta qual è veramente ed espone bonariamente la sua filosofia di vita, basata sul conseguimento immediato di un godimento tutto terreno: se non può essere né fuoco, né vento, né papa, né morte e vita, allora vorrebbe almeno prendere per sé le donne più affascinanti e lasciare agli altri quelle brutte e poco desiderabili.