LA STAGIONE DELL'ILLUMINISMO

L'Illuminismo a Napoli

 

L'Illuminismo italiano era particolarmente attivo a Napoli, in questo periodo capitale dell'omonimo Regno di Napoli. La città partenopea, con la capitale francese, fu quella che meglio espletò il "secolo dei lumi"; infatti, non assorbì semplicemente questa corrente, anzi, la generò in buona parte dando vita a nuove forme architettoniche, a nuovi pensieri filosofici e ponendo le basi dell'economia e del diritto moderno.[1] In realtà Napoli era già stata il centro vitale della filosofia naturalistica del Rinascimento,[2] ed ora tornò a dare nuovo impulso al pensiero di diversi esponenti, quali ad esempio Mario Pagano, uno dei più importanti giuristi e politici italiani dell'epoca rivoluzionaria,[3]che in gran parte si rifacevano all'opera di Giambattista Vico, eliminando però gli aspetti cristiani della sua filosofia.[4]

Rilevanti furono le costruzioni di imponenti edifici pubblici, fra tutti il Real Albergo dei Poveri (detto anche Palazzo Fuga dal nome dell'architetto che lo ideò e realizzò nel 1751 su commissione del Re Carlo di Borbone), che è tra le più notevoli costruzioni settecentesche, tipicamente illuminista: lunga ben 354 metri ed una superficie utile di 103.000 m2. Politicamente, le prese di posizione anticuriale ed antifeudale del governo napoletano divennero modelli d'ispirazione che riscossero successo anche all'estero.

Da ricordare anche la nascita della scuola economica di Antonio Genovesi, che portò diverse innovazioni nel campo dell'economia nazionale e non solo, seguito anche in Puglia dal letterato Ferrante de Gemmis Maddalena, che fondò una Accademia illuminista.[5] Altri nomi di spicco che posero le basi della moderna economia politica, delle discipline economiche e monetarie sono: Ferdinando Galiani e Gaetano Filangeri. Quest'ultimo in particolare, con la sua scienza della legislazione, farà da ispirazione agli artefici della Rivoluzione francese.[6][7]

Gli ultimi illuministi napoletani, come Mario PaganoIgnazio Ciaia e Domenico Cirillo aderirono alla Repubblica Napoletana, finendo quindi giustiziati il 29 ottobre 1799 a seguito del ripristino del potere borbonico. Altri come il canonico Onofrio Tataranni, ebbero salva la vita, perché protetti dalla stessa chiesa.

L'Illuminismo a Milano

L'illuminismo milanese mosse i suoi primi passi all'Accademia dei trasformati, fondata nel 1743. Nell'accademia, caratterizzata da una componente in prevalenza aristocratica, si dibatteva delle nuove teorie illuministiche, tentando tuttavia di conciliarle con le tradizioni classiche.

Tra i componenti dell'Accademia dei Trasformati vi era anche Pietro Verri, che tuttavia se ne distaccò ben presto per dar vita assieme al fratello Alessandro all'Accademia dei Pugni nel 1761, il cui nome fu ispirato all'animosità con cui si discuteva. Collegato all'Accademia dei Pugni vi era era la rivista Il Caffè, foglio culturale vicino alle teorie illuministiche ispirato ai primi giornali moderni come il The Spectator.

Oltre ai fratelli Verri, tra i frequentanti dell'Accademia dei Pugni vi fu un altro dei più celebri illuministi italiani: Cesare Beccaria. Del Beccaria è la più celebre opera dell'illuminismo italiano: il trattato giuridico Dei delitti e delle pene pubblicato nel 1763, nel quale, rifacendosi alle teorie dei philosophes e ad alcune legislazioni recenti come quella della zarina Elisabetta Petrovna, egli propone con logica rigorosa l'abolizione della tortura e della pena di morte. L'opera fu ammirata anche da Voltaire e dagli Enciclopedisti ed ebbe molta influenza su sovrani come Caterina II di RussiaMaria Teresa d'Austria, ma soprattutto sul Granducato di Toscana, dove Pietro Leopoldonel 1786 abolì la tortura e la pena di morte, seguito poi dal fratello Giuseppe II d'Austria.

L'Illuminismo portò nuovi stimoli anche all'arte e alla poesia: un'importante poeta dalle idee illuministe fu Giuseppe Parini, altro grande esponente dell'illuminismo lombardo, che satireggiò la nobiltà e i suoi privilegi nel poema Il Giorno, mentre nel teatro incoraggiò i commediografi e i drammaturghi verso idee nuove: è il caso di Vittorio Alfieri e Carlo Goldoni.

Della scuola illuminista milanese si ricordano anche Paolo FrisiRuggero BoscovichAlfonso Longo e Gian Rinaldo Carli, tutti contributori del Caffè.

 


“Il Caffè”: organo dell'intellighenzia lombarda

Una rivista innovativa nella Milano settecentesca: interclassista e plurale

 

A metà ’700 Milano, dominata dagli austriaci, vive un regime di dispotismo illuminato che favorisce una convergenza tra la politica del governo asburgico e i fermenti della cultura locale. L’intellighenzia lombarda, all’avanguardia in Italia, si misura attivamente con i problemi reali e concreti della società civile, suscitando un vasto dibattito di idee. È in questo clima culturale che viene fondato il periodico più importante della cultura illuministica italiana: “Il Caffè”.

 

La nascita del periodico

“Il Caffè” nasce a Milano nel giugno del 1764 a opera di Pietro Verri e degli intellettuali dell’Accademia dei Pugni (tra cui il fratello Alessandro e Cesare Beccaria), uscendo ogni dieci giorni fino al 1766. La rivista si riallaccia a periodici inglesi come “The Spectator” o “The Tatler” ed è presentata come il risultato delle discussioni tenute in un caffè (fittizio) gestito dal greco Demetrio.

Un nuovo modo di fare cultura: accessibile a tutti i cittadini

La bottega del caffè è il nuovo spazio reale e simbolico della letteratura; rappresenta un nuovo modo di intendere e di diffondere la cultura. Questi centri di incontro si sviluppano in Inghilterra nel Settecento in concomitanza con la diffusione della bevanda, a cui si attribuiscono virtù salutari. Mentre la taverna è il luogo dell’ebbrezza e del disordine, la bottega del caffè è il luogo della riflessione e della razionalità, crocevia di uomini appartenenti a vari ceti sociali, che leggono e discutono di una pluralità di argomenti. Il salotto e l’accademia sono ambienti chiusi e riservati all’élite intellettuale e aristocratica; il caffè è una “manifattura dello spirito” (definizione di Diderot-d’Alembert). È un luogo aperto caratterizzato da un viavai di avventori, una fabbrica di idee che scaturiscono dalla libera conversazione su ogni materia: economia, politica, libri, moda; in sintesi, tutto ciò che riguarda il mondo. «Attraverso un abile intervento sull’opinione pubblica, le notizie sono orientate verso la formazione del cittadino, che non ha nulla più a che vedere con il cortigiano o con l’aristocratico » (ved. Salinari C., Ricci C.1995, p. 1714).

Target di riferimento: ceti medi e le donne

La redazione del “Caffè” sente la necessità di un radicale rinnovamento anche a livello linguistico, preferendo un periodare agile e immediato al vuoto formalismo e alla purezza della lingua dettata dal vocabolario della Crusca. La rivista non si rivolge solo agli intellettuali, ma soprattutto al ceto medio urbano alfabetizzato, comprese le donne, affrontando gli argomenti più disparati: la medicina, le colture, il contrabbando, la sanità, il federalismo nazionale, ecc. All’interno del periodico si esprimono anche le prime idee risorgimentali: si auspicano l’abbattimento delle barriere doganali interne, l’adozione di un’unica legislazione, l’unificazione di pesi e misure. Ogni italiano è esortato a non sentirsi più straniero in patria, qualunque sia la sua regione di origine.

 

A tal proposito, assume particolare valore simbolico proprio l’articolo introduttivo, di presentazione del “Caffè”, che indica le finalità della rivista.

D. -  “Cos'è questo Caffè?

R. - È un foglio di stampa, che si pubblicherà ogni dieci giorni.

D.- Cosa conterrà questo foglio di stampa?

R. - Cose varie, cose disparatissime, cose inedite, cose fatte da diversi Autori, cose tutte dirette alla pubblica utilità.

D. - Va bene: ma con quale stile saranno scritti questi fogli?

 R. - Con ogni stile, che non annoi.

D. - E sin a quando fate voi conto di continuare quest'Opera?

R. - Insin a tanto che avranno spaccio. Se il Pubblico si determina a leggerli, noi continueremo per un anno, e per più ancora, e in fine d'ogni anno dei trentasei fogli se ne farà un tomo di mole discreta: se poi il Pubblico non li legge, la nostra fatica sarebbe inutile, perciò ci fermeremo anche al quarto, anche al terzo foglio di stampa.

D. - Qual fine vi ha fatto nascere un tal progetto?

R. -  Il fine d'una aggradevole occupazione per noi, il fine di far quel bene che possiamo alla nostra Patria, il fine di spargere delle utili cognizioni fra i nostri Cittadini, divertendoli..

D. - Ma perché chiamate questi fogli il Caffè?

R. - Ve lo dirò ma andiamo a capo. Un Greco originario di Citera, isoletta riposta fra la Morea e Candia, mal soffrendo l'avvilimento, e la schiavitù, in cui i greci tutti vengon tenuti dacché gli Ottomani hanno conquistata quella Contrada, e conservando un animo antico malgrado l'educazione e gli esempi, son già tre anni che si risolvette d'abbandonare il suo paese: egli girò per diverse città commercianti, da noi dette le scale del Levante; egli vide le coste del Mar Rosso, e molto si trattenne in Mocha, dove cambiò parte delle sue merci in Caffè del più squisito che dare si possa al mondo; indi prese il partito di stabilirsi in Italia, e da Livorno sen venne a Milano, dove son già tre mesi ha aperta una bottega addobbata con ricchezza ed eleganza somma. In essa bottega primieramente si beve un Caffè, che merita il nome veramente di Caffè: Caffè vero verissimo  di Levante, e profumato col legno d'Aloe che chiunque lo prova, quand'anche fosse l'uomo il più grave, l'uomo il più plumbeo della terra, bisogna che per necessità si risvegli, e almeno per una mezz'ora diventi uomo ragionevole. In essa bottega vi sono comodi sedili, vi si respira un'aria sempre tepida, e profumata che consola; la notte è illuminata, cosicché brilla in ogni parte l'iride negli specchi e ne' cristalli sospesi intorno le pareti, e in mezzo alla bottega; in essa bottega, che vuol leggere, trova sempre i fogli di Novelle Politiche, e quei di Colonia, e quei di Sciaffusa, e quei di Lugano, e vari altri; in essa bottega, chi vuol leggere, trova per suo uso e il Giornale Enciclopedico, e l'Estratto ella Letteratura Europea, e simili buone raccolte di Novelle interessanti, le quali fanno che gli uomini che in prima erano Romani, Fiorentini, Genovesi, o Lombardi, ora sieno tutti presso a poco Europei; in essa bottega v'è di più un buon Atlante, che decide le questioni che nascono nelle nuove Politiche; in essa bottega per fine si radunano alcuni uomini, altri ragionevoli, altri irragionevoli, si discorre, si parla, si scherza, si sta sul serio; ed io, che per naturale inclinazione parlo poco, mi son compiaciuto di registrare tutte le scene interessanti che vi vedo accadere, e tutt'i discorsi che vi ascolto degni da registrarsi; e siccome mi trovo d'averne già messi i ordine vari, così li do alle stampe col titolo Il Caffè, poiché appunto son nati in una bottega di Caffè”.

 

 In un certo senso esso rappresenta una sorta di paradigma dell’Illuminismo lombardo, sintetizzabile in questi punti: - la rivista si propone di trattare qualunque argomento che interessi il suo pubblico; - la rivista è orientata dalle scelte e dai gusti dei suoi lettori, che infatti attraverso la loro approvazione e il loro interesse incoraggeranno le pubblicazioni: il giornale si farà fintanto che qualcuno vorrà leggerlo! - gli argomenti trattati saranno basati sulla pubblica utilità; - il giornale si ispira agli incontri culturali che avvengono, appunto, in un caffè, dove si leggono giornali, ci si confronta e si discute, al fine di abbandonare ristrette visioni particolaristiche e di andare verso la direzione di un sentito cosmopolitismo

 


DAI DELITTI E DELLE PENE ALLA PENA DI MORTE







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