GIUSEPPE PARINI (1729-1799)

 

E' un po' una forzatura chiamarlo illuminista e paragonarlo ad autori come Pietro Verri, Cesare  Beccaria, Gaetano Filangieri; infatti rientra nella cultura del 1700 con influenze che riprende dall'Arcadia.

Nasce a Bosisio nella Brianza il 23 maggio 1729 da una famiglia di contadini molto modesta; da piccolo aveva già manifestato buone attitudini di apprendimento; però non aveva i mezzi per poterle esprimere. Una zia gli lascia allora un'eredità, legata però ad una clausola: diventare sacerdote.

Parini accetta e compie gli studi in seminario; la sua è una vocazione non vera e propria, ma per necessità. Nel 1752 esordisce come poeta e compone una raccolta di poesie – „Alcune poesie di Ripano Eupilino“ – che gli valgono l'ingresso nell'Accademia dei Trasformati, un’accademia nata per scissione dall'Arcadia.

Nel 1754 è ordinato sacerdote e dopo la fase dei primi studi, abbiamo un'altra fase che va dal 1754 al 1762 quando Parini diventa precettore per la famiglia dei Duchi Serbelloni.

È quindi insegnante, ed in questo ambiente di aristocratici conosce il comportamento della nobiltà proprio vivendoci assieme; comprende i vizi e i valori, il rapporto con i servi, le abitudini, i difetti.

In questo modo studia l'ambiente, ma nel 1762 – a quello che si dice – ha uno scontro con la duchessa Serbelloni che gli cambia la vita. La figlia del maestro di Musica della duchessa viene da questa schiaffeggiata; Parini ne prende le difese e per questo è licenziato, per avere combattuto contro la prepotenza e il ricatto della nobiltà verso le classi più umili.

Poco dopo trova un altro impiego presso la nobile famiglia degli Imbonati, dove resta fino al 1768. Gli Imbonati sono nobili con idee illuministe ed egli è maestro di Carlo Imbonati, poi padre adottivo di Manzoni. In questa fase fa proprie le idee illuministe e scrive: "Il Mattino" (1763) e "Il Mezzogiorno"(1765).

Sono le prime due parti di un’opera che doveva chiamarsi "Il Giorno". Sono due poemi che raccontano la vita di un nobile che vive in modo vuoto, con un’esistenza priva di valori; egli fa finta di essere il precettore di questo rampollo, ironizzando sulla sua figura; mette così in luce gli aspetti negativi della nobiltà.

Successivamente abbandona l'insegnamento privato, ma diventa insegnante pubblico dal 1768 al 1796 nelle Scuole Palatine dalle quali nascerà il Ginnasio di Brera.

Le scuole pubbliche sono gestite dall'amministrazione asburgica che non gli affida solo l'insegnamento, ma anche incarichi di maggior prestigio.

Diventa anche Ispettore delle scuole statali e, pur essendo prete, è favorevole alla scuola pubblica tanto che, mentre ispezionava le scuole, diceva che non bisognava imporre il credo religioso.

Scrive "Le Odi" in due momenti 1791, 1795; le due raccolte hanno diversi temi come "La solubrità dell'aria" dove parla dell'inquinamento delle risaie (dove l'erba marciva a causa dell'allagamento) e le marcite (utili per il foraggio dei cavalli). In questo modo anticipa anche l'ecologismo. Insieme a quest'opera prosegue "Il Giorno" che all'inizio doveva essere diviso in tre parti con l'aggiunta della "Sera".

Rivedendolo, Parini lo divide in quattro parti con le prime due modificate: "Il Mattino" che ha contenuti diversi dall’edizione del 1763, e „Il Mezzogiorno" che diventa "Il Meriggio", infine aggiunge "Il Vespro" e "La Notte".

Però solo le prime due parti sono pubblicate. Il primo a raccogliere insieme gli scritti pariniani, dopo la morte dell’autore, è Antonio Reina nel 1801. Nel 1796 nel Ducato di Milano abbiamo l'occupazione francese; agli inizi Parini era in accordo con i nuovi dominatori (vedi "La poetica e l'ideologia") ma poi rimane deluso e quando tornano gli Austriaci nel 1799 li accoglie favorevolmente. Muore il 15 agosto dello stesso anno.

 

LE IDEE

 

Parini è fondamentalmente un moderato, non è un rivoluzionario. Infatti nei confronti della Rivoluzione francese è in disaccordo. Ideologicamente voleva trasformare i contenuti, ma non le strutture vigenti, voleva trasformare le azioni; la nobiltà non andava, secondo lui, abbattuta, ma andava cambiato l'atteggiamento dei nobili; infatti il suo punto di partenza dovevano essere i nobili illuminati per poter arrivare a criticare quelli più chiusi e arroccati ai loro privilegi di casta.

Queste idee sono contenute nel "Dialogo sopra la nobiltà" scritto sotto forma di dialogo, ambientato nell'aldilà, dove abbiamo un nobile ed un plebeo; il nobile viene fatto ragionare e il plebeo riesce a fargli capire che, dopo la morte, siamo tutti uguali e il nobile resta senza poter argomentare nulla; in questo modo capisce che la vera nobiltà non sta nelle ricchezze, ma nelle azioni, nella stima. Secondo Parini i nobili devono avere una funzione di guida nella società, ma devono comportarsi correttamente per poter guidare il popolo. Questo ci rimanda a Dante che parlava di nobiltà d'animo.

Per quanto riguarda l'arte e la cultura Parini voleva che avessero una funzione pedagogica; anche in questo aspetto non era allineato con il pensiero illuminista perchè non parla di utilità sociale (utilitarismo), ma dice che la letteratura deve rimanere creativa e questo concetto lo si trova esposto nel "Discorso sopra la poesia" oltre che nel menzionato "Dialogo sopra la nobiltà". Secondo Parini la cultura non deve essere solamente una trasmissione sterile di contenuti come nella trattatistica, ma deve possedere una sua bellezza estetica.

 

IL GIORNO

 

Nell'insieme, queste teorie si trovano nel "Giorno", poema satirico in endecasillabi sciolti.

La tecnica utilizzata è l'antifrasi cioè L’affermare il contrario di quello che si pensa, in questo modo Parini sembra sempre esaltare il Giovin Signore – protagonista del suo poema – quando in realtà è il contrario.

Abbiamo tre livelli di antifrasi:

–                    ironia= quando semplicemente affermo il contrario di quello che penso;

–                    sarcasmo= è più intenso, l’autore usa espressioni e termini che sono inaccettabili prendendoli comunque come veri; per esempio Parini ci dice che è positivo quando gli uomini trattano male le persone;

–                    deprecazione= quando si svela l'antifrasi stessa e si parla in maniera chiara, senza più codice; per esempio Parini la utilizza quando esplode nell'indignazione.

I personaggi principali sono il Giovin Signore che pur essendo protagonista non parla ed è senza spessore psicologico, come un attore; ed il Precettore, che coincide con la voce narrante, che poi è quella dello stesso Parini. Tutti i personaggi inferiori circolano e vivono intorno a questa figura.

Il vero protagonista è il Precettore che, attraverso la tipologia dell'antifrasi, critica i costumi e la cultura nobiliare.

Lo spazio è ristretto perchè i nobili non escono mai e questo riflette la chiusura mentale di questa classe sociale.

Il tempo è rallentato. Tutta la storia si sviluppa in un unico giorno, vi sono molte descrizioni minuziose.

Questo tipo di scrittura riflette la noia del mondo aristocratico e la sua improduttività.

 

Parini è stato interpretato tradizionalmente come uno scrittore positivo che si contrappone al Barocco; soprattutto la critica di De Sanctis sembra seguire questo indirizzo. Rispetto al passato la poesia di Parini ha un contenuto più appassionato e in Parini l'uomo vale più dell'artista; egli, accanto ad altri scrittori (come Alfieri e Goldoni) inaugura così un nuovo modo di fare letteratura, ma non tutti riescono ad accettarlo. Carducci si concentra sui valori strettamente poetici e lo loda come continuatore dell'Arcadia. Altri studi hanno denotato l'ambiguità dell‘autore; Parini critica il mondo nobiliare da un lato, ma dall'altro sembra non volersi staccare mai da quel mondo e subirne il fascino. Alcuni vedono Parini inizialmente mosso da valori illuministici, mentre, andando verso la vecchiaia, diventerebbe più moderato e neoclassico; questo rappresenterebbe – secondo questi studiosi – una delusione dal mancato cambiamento illuminista. Petronio ci mostra la modifica di atteggiamento come di ripiegamento dell'autore (involuzione di Parini) anche se questa visione non è oggi più condivisa; si vedono, infatti, i due atteggiamenti compresenti fin dall'inizio ed è questo che lo porta a criticare l'atteggiamento nobiliare e a passare, poi, al successivo ripiegamento.

 

 

 

LA VERGINE CUCCIA (nella stesura non pubblicata, il Meriggio vv. 659-697

 

 

Or le sovvien del giorno,

Ahi fero giorno! allor che la sua bella

Vergine cuccia de le Grazie alunna,

Giovanilmente vezzeggiando, il piede

Villan del servo con gli eburnei denti

Segnò di lieve nota: e questi audace

Col sacrilego piè lanciolla: ed ella

Tre volte rotolò; tre volte scosse

Lo scompigliato pelo, e da le vaghe

Nari soffiò la polvere rodente:

Indi i gemiti alzando, «aita aita»

Parea dicesse; e da le aurate volte

A lei la impietosita eco rispose;

E dall'infime chiostre i mesti servi

Asceser tutti; e da le somme stanze

Le damigelle pallide tremanti

Precipitaro. Accorse ognuno: il volto

Fu d'essenze spruzzato a la tua dama:

Ella rinvenne al fine. Ira e dolore

L'agitavano ancor: fulminei sguardi

Gettò sul servo; e con languida voce

Chiamò tre volte la sua cuccia: e questa

Al sen le corse; in suo tenor vendetta

Chieder sembrolle: e tu vendetta avesti,

Vergine cuccia de le Grazie alunna.

L'empio servo tremò; con gli occhi al suolo

Udí la sua condanna. A lui non valse

Merito quadrilustre: a lui non valse

Zelo d'arcani ufici. Ei nudo andonne

De le assise spogliato onde pur dianzi

Era insigne a la plebe: e in van novello

Signor sperò; ché le pietose dame

Inorridiro, e del misfatto atroce

Odiàr l'autore. Il perfido si giacque

Con la squallida prole e con la nuda

Consorte a lato su la via spargendo

Al passeggero inutili lamenti:

E tu vergine cuccia idol placato

Da le vittime umane isti superba.

 

 

Abbiamo uno dei componimenti più famosi, La Vergine cuccia è una cagnetta; la storia torna alla mente della dama, seduta al tavolo durante un pranzo, quando un vegetariano dimostra il suo dissenso nel mangiare la carne. La storia viene descritta, pertanto, attraverso un flashback; la dama aveva una cagnetta che un giorno morse un servo ed il servo rispose dandole un calcio, come contromisura il servo venne licenziato, insieme a tutta la sua povera famiglia e non valsero a nulla i venti anni di servizio nè le preghiere. In questo modo e attraverso la deprecazione Parini ci mostra come un cane di un nobile valga più di un servo, che viene messo dopo una bestia nella scala die valori di questa classe ipocrita e crudele. L'espressione cuccia è una metonimia perchè il cane solitamente sta nella cuccia.