In terra di Romagna, tra Rimini e San Marino, sorge la cittadina di San Mauro Pascoli. Qui, il secolo scorso, è nato Giovanni Pascoli (1855 – 1912) uno dei più grandi esponenti della letteratura italiana. In suo onore, dal 16 luglio al 3 agosto 2003 si svolgerà la rassegna "Il giardino della poesia: parole e musiche nei luoghi pascoliani". In origine il paese si chiamava "San Mauro di Romagna", poi, nel 1932 con Regio Decreto il nome fu modificato in onore del poeta. Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 in una modesta casa rurale, monumento nazionale dal 1924, trasformata in piccolo museo domestico denominato Casa Pascoli. Qui il poeta ha trascorso la sua infanzia e spesso il ricordo della serenità vissuta a San Mauro torna in molti componimenti, rievocato con affetto e nostalgia. Casa Pascoli è stata seriamente danneggiata durante la seconda guerra mondiale ma grazie a sapienti lavori di ristrutturazione è uno dei più importanti "luoghi pascoliani". Ritroviamo il grande focolare domestico, l'acquaio in pietra, l'antico soffitto, utensili e mobili d'epoca. Altre stanze conservano le prime edizioni delle opere pascoliane come "Myricae"(1891), raccolta dedicata alle nozze di amici e parenti, i versi latini dei "Carmina" e altre opere, molte delle quali con dedica autografa. Al piano di sopra, c'è la camera da letto con l'antica culla in legno del poeta e lo studio in cui sono conservati preziosi documenti. Non possiamo trascurare il giardino al centro del quale è posto il busto bronzeo dedicato al poeta. E' ricco di fiori, come le "rose rampicanti", e di piante, come "il pioppo alto e slanciato", ricordate in tanti componimenti del poeta. C'è infine la Chiesetta della Madonna dell'Acqua luogo di consolazione e di preghiera della madre, più volte citato nella sua poesia. Giovanni Pascoli trascorse molto tempo della sua giovinezza nella tenuta agricola dei principi Torlonia, chiamata la "Torre". Questo è il luogo della tragedia che colpì profondamente la famiglia Pascoli, raccontata nei celebri versi della "cavallina storna" che riporta indietro il corpo assassinato del padre. Dal 1974 é sotto tutela come manufatto di particolare interesse storico, come caratteristico e raro esempio di villa romagnola del XVII-XVIII secolo. 


CURIOSANDO UN PO'...... Alla tavola di Giovanni Pascoli 

La passione di Giovanni Pascoli per la buona tavola è unanimemente nota ed è stata argomento di discussione da parte di molti studiosi. L' amore per la cucina, per lui, era tutt'uno con l'amore per la campagna, per i sapori semplici dell'orto, per i cibi genuini, che gli ricordavano le sue origini. Il cibo è una presenza discreta, ma costante, sia nella quotidianità del poeta che nella sua produzione letteraria, tanto che dai suoi versi spesso si possono ricavare vere e proprie ricette. Laura Di Simo, insegnate in vari licei lucchesi, ha realizzato un delizioso libro su questo argomento, edito da Maria Pacini Fazzi (nella collana Appunti di viaggio):  “Alla tavola di Mariù e Zvanì-I cibi pascoliani”. Nel libro la professoressa Di Simo, dopo un' analisi approfondita dei testi , rivela uno stretto legame tra il gusto della cucina e la ricerca linguistica di Pascoli che, infatti, adottò con naturalezza, nei suoi scritti, i vocaboli contadini (cruschello,  buzzo, gallinelle) e gli attrezzi domestici (stacci, testi, coli, laveggi) di uso comune in cucina che gli venivano suggeriti dallo Zì Meo e dai contadini con cui amava parlare.  “Risulta evidente quindi - afferma l' autrice- che sia i piatti tipici che gli attrezzi, testimonianze  della civiltà contadina di fine ottocento rientrano a pieno titolo in quella poetica delle piccole cose che percorre l’intera produzione pascoliana”. A conferma di questa tesi nelle pagine del libro compaiono le liriche  in cui il poeta parla di pietanze e di prodotti dell’orto accanto a  vere e proprie ricette dei piatti della tradizione locale,  ricavate dalle sue stesse pagine o tratte da manuali di cucina come quello di Pellegrino Artusi. Ecco allora ricette, che le massaie del terzo millennio potranno “rispolverare”: risotto con la bietola, zuppa di farro, asparagi al gorgonzola,  galletto alla panna, pollo alla contadina, zuppa alla frantoiana, cavolfiore al forno, tortino di petonciani, carciofi in umido con la gnepitella.  Piatti genuini fatti con i prodotti semplici, e straordinari, che offre la campagna e cotti nel focolare domestico. Come piacevano al Poeta. 


FOCUS: IL DECADENTISMO IN PASCOLI E D'ANNUNZIO

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IL GELSOMINO NOTTURNO di Giovanni Pascoli fa parte dell'ampia raccolta i Canti di Castelvecchio, pubblicati per la prima volta nel 1903 (e poi in edizione definitiva postuma nel 1912). Il testo, composto da sei quartine di novenari, a rima alternata,  ritroviamo tutto il respiro simbolista pascoliano, che trova nel mondo naturale il termine di confronto per la propria acutissima sensibilità e per l’inquietudine esistenziale che attraversa la sua poesia.

Gelsomino notturno, epitalamio composto in occasione delle nozze di Gabriele Briganti, amico del poeta, affronta il tema dell'unione amorosa tra i due nuovi coniugiPascoli non si sposò mai ed ebbe una vita sentimentale e sessuale priva di eventi. Tale solitudine e incapacità di relazione è raramente affrontata nelle sue opere. La componente sessuale dell'esistenza, e il relativo scandalo che comporta nell'animo personale del poeta, trova un'immagine memorabile in Digitale purpurea. In Gelsomino notturno, troviamo una scena di voyeurismo trasposta sul piano lirico: lo "spiare" i due sposi diventa un'interrogazione sul senso del mondo. 

A partire dal titolo stesso Il gelsomino notturno si presenta come una sfumata metafora erotica; la dedica all’amico che si appresta a consumare la prima notte di nozze introduce la tematica sessuale, da cui il poeta si sente drammaticamente escluso. Pascoli si serve così di una serie di immagini e referenti dal mondo naturale per sviluppare questo tema. Innanzitutto i “fiori notturni” (v. 1), ovvero quei gelsomini che hanno appunto la caratteristica di aprirsi con il calare delle tenebre per richiudersi poi con l'avvento del mattino, e in seguito le “farfalle crepuscolari” (v. 4), che anticipano il momento della giornata - la sera - in cui è ambientata la poesia.

Nella seconda e terza quartina prevale l’atmosfera di pace della fine del giorno, attraversata però dall’attesa di qualcosa di misterioso che sta per giungere. “L’odore di fragole rosse” (v. 10) è appunto la sinestesia che Pascoli usa per alludere ellitticamente l’esperienza sessuale che gli sembra preclusa 1. Egli appunto si trasfigura nella “ape tardiva” (v. 13) che trova tutto il suo alveare occupato da chi è arrivata prima di lei; e la scena ha subito un parallelo in una dimensione “cosmica”, sullo sfondo del cielo attraversato dalle Pleiadi sfavillanti (la “Chioccetta” del v. 15 è nome popolare per la nota costellazione). Anche lo sguardo del poeta, che sembra osservare la scena dall’esterno della casa, è un indizio della sua sofferenza silenziosa; egli non può che vedere il lume in mano allo sposo salire “su per la scala” (v. 19), dove però poi si spegne.

Il passaggio all’ultima quartina del testo è mediato da un’ellissi, attraverso la quale si passa all’alba successiva; la “felicità nuova” (v. 24), che allude alla futura gravidanza della moglie dell’amico, è la causa per cui i petali del gelsomino sono “un poco gualciti” (v. 22). La conclusione del Gelsomino raggiunge così il vertice dell’allusività erotica e il punto più alto della metafora dell’esclusione che caratterizza il testo: il poeta è infatti estraneo al ciclo della vita simboleggiato da “l’urna molle e segreta” (v. 23) del gelsomino 2.

 Il gelsomino notturno è considerato un testo-chiave del Simbolismo pascoliano per la sua raffinata capacità di evocare ed alludere la realtà amoroso-erotica in maniera indiretta e sfumata, con una mpio ricorso ad alcune figure retoriche tipiche dell’autore. 

Molto interessante osservare come Pascoli sappia abilmente bilanciare spinte divergenti. Da un lato c’è infatti l’atmosfera sfumata ed allusiva della situazione descritta dal poeta (il paesaggio serale e poi notturno, la sensibilità raffinatissima nel cogliere il profumo dei fiori, il ronzio dell’ape solitaria, il gioco delle luci); dall’altro un uso precisissimo sia della metrica 3 e di alcune figure retoriche, come sinestesie (v. 10: “l’odore di fragole rosse”) e metonimie (v. 7: “Sotto l’ali dormono i nidi”), in un generale clima dominato dall’analogia, che istituisce legami misteriosi ed oscuri - noti solo al poeta-fanciullino - tra le cose. 

 

Molto curato anche l’aspetto fonosimbolico e percettivo del testo, grazie ad un’attenta alternanza tra vocali aperte e chiuse, e tra verbi e sostantivi che rimandano all’ambito uditivo (“si tacquero i gridi”, “una casa bisbiglia”, “un’ape tardiva sussurra”, “col suo pigolìo di stelle”) e visivo (“s’aprono i fiori”, “sono apparse [...] le farfalle crepuscolari”, “splende un lume”, “l’aia azzurra”, “passa il lume”, “si chiudono i petali”) e alla dimensione coloristica (il “rosso” simbolico delle fragole, l’azzurro del cielo notturno, il brillare del “lume per la scala”).