Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza Immanuel Kant


“ Trasformare i sudditi in cittadini è un miracolo che solo la scuola può compiere Piero Calamandrei


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I PRINCIPI CARDINE DELL'ILLUMINISMO

La Ragione come principio fondamentale dell'Illuminismo.

L'Illuminismo è un movimento filosofico e culturale, nato in Inghilterra e diffusosi in Europa e nel mondo a partire dalla prima metà del Settecento, soprattutto attraverso la Francia. E' qui, infatti, che fiorisce grazie al contributo di pensatori del calibro di RousseauVoltaire,MontesquieuDiderot e D'Alembert.

Montesquieu diventerà il padre, in politica, della teoria della divisione dei poteri in:
legislativo;
esecutivo;
giudiziario.


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1) CHE COS'E' IL POTERE LEGISLATIVO E DA CHI VIENE RAPPRESENTATO?

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LA FRANCIA E L'ILLUMINISMO


In Francia il periodo più importante dell’interazione tra illuminismo e pittura si colloca fra due date: 1715 (anno in cui morì Luigi XIV) e 1789. Negli altri paesi europei la separazione è meno netta, ma la suddivisione è simile. Sarà il lasso di tempo che percorreremo in questo testo, salvo poche incursioni nel periodo precedente o in quello successivo. Questo breve XVIII secolo sarà caratterizzato in Francia dalla reggenza e dal lungo regno di Luigi XV, un periodo in contrasto con il secolo precedente. Il fulcro della vita pubblica si sposta dalla corte alla città, da un’organizzazione sociale fondata sui principi della religione a uno spazio civile….. [..]Pensiamo a quelli che promuovono il regno della ragione e quelli che lo mettono in discussione, a coloro che credono al progresso e a chi rinuncia a individuare un senso negli eventi della storia. Questa pluralità sfocia non nell’ incoerenza, ma nella complementarità; è preferibile, allora, non eliminare le contraddizioni talvolta insanabili della condizione umana. Dal canto loro, artisti, pittori e scrittori offrono allo spirito dell’illuminismo un contributo indispensabile, che lo rende ancora più ricco di sfumature e più complesso.

Il testo è tratto da:

 

Tzvetan Todorov

La pittura dei lumi

Garzanti, 2014


SINTESI SULL'ILLUMINISMO 

Siamo dinanzi a una corrente filosofica e di pensiero che non nasce in Italia ma che trova diffusione anche nel nostro paese. Il punto focale è la lotta contro l'irrazionalità e contro i pregiudizi e l'ignoranza politica (da questo deriva la celebre espressione "lumi della ragione"), così come spiegato dalla definizione di Immanuel Kant, il cui pensiero è da considerarsi l'espressione più alta dell'Illuminismo filosofico.

 

In Italia l'Illuminismo assume caratteri particolari e specifici rispetto alla Francia, che è il paese di irradiazione del nuovo modo di pensare: è infatti pragmatico e tende a preferire alla discussione e alla filosofia la rielaborazione dei principi in funzione di contesto concreto, pensando dunque alla possibile applicazione reale. 

 

I centri di diffusione dell'Illuminismo sono in particolare due città, Napoli e Milano; nella città partenopea la riflessione è di stampo filosofico e astratto, e si pratica soprattutto nelle accademie e nei circoli, ossia in centri chiusi in cui gli intellettuali comunicano tra loro. Le loro idee trovarono terreno fertile nella politica di Carlo di Borbone (sul trono dal 1734), ma vennero arrestate poi nel 1759 dall'ascesa su trono di Ferdinando IV; torneranno a farsi sentire con i moti di fine secolo

 

A Milano invece i temi sono principalmente economici e politici, e la riflessione, di stampo concreto, si attua in un clima di collaborazione reciproca. Per essere ancora più precisi, i milanesi devono essere considerati dei riformisti, non dei rivoluzionari (come spesso sono invece visti i francesi); essi sono moderati e non radicali, e il loro obiettivo è migliorare alcuni aspetti delle istituzioni politiche, non sovvertire l'ordine precostituito. L'aspetto notevole dell'illuminismo italiano è la costituzione di una classe culturale di intellettuali che poteva collaborare con l'amministrazione del potere, a differenza della prima metà del secolo, in cui si erano distinte figure notevoli, ma isolate, di pensatori, come Gianbattista Vico e Ludovico Muratori

Autori e generi dell'Illuminismo italiano

Il genere letterario caratteristico è quello del libello pamphlet, ossia un breve trattato, densamente argomentato, in cui l'autore espone le proprie idee e giustifica le riforme che vuole proporre. È comune che gli intellettuali si rispondano tra loro con opere successive, instaurando così un dialogo attraverso la letteratura.

 

Espressione significativa dell'Illuminismo lombardo è il Caffè, un periodico voluto dai fratelli Verri, Alessandro e Pietro.

 

Forse però l'opera più rappresentativa, soprattutto per la sua risonanza in Europa, è Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria. Il testo venne scritto nel 1763 e pubblicato l'anno successivo. Beccaria, il più famoso degli illuministi milanesi, era appunto milanese di nascita ed era laureato in legge; si tratta di un particolare interessante, perché non siamo di fronte a un letterato di professione, ma a un giurista che si occupa di scrittura. L'opera venne scritta dopo una serie di discussioni sul tema con altri intellettuali, tra cui i fratelli Verri, che rivendicarono la loro autorità sull'opera. È stato dimostrato però che lo stile è senza ombra di dubbio suo, ma il litigio è interessante perché documenta la genesi delle opere e il loro carattere di discussione all'interno dell'accademia. 

 

Per quanto riguarda la storia della lingua, è innovativo l'uso dell'italiano per un tema giuridico, che di solito si esprimeva in latino. L'idea di Beccaria è che solo un cambiamento giudiziario è in grado di cambiare la società, anche nei suoi aspetti legati alla superstizione; si tratta di una riflessione che avrà poi vasta risonanza nelle opere di Manzoni. Il suo pensiero si basa sul concetto di tolleranza e di uguaglianza; la trattazione è squisitamente argomentativa, e comprende alcune distinzioni importanti che sono poi alla base del pensiero giuridico moderno, come la differenza tra pena e reato, o quella tra peccato e crimine (importante nei rapporti con la Chiesa).

 


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CURIOSITA'..........  PILLOLE PER L'APPRENDIMENTO

L’ESPERIENZA DELL’ENCYCLOPÉDIE

 

La storia della pubblicazione dell’Encylopédie

 

L’Encyclopédie, o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, nasce dall’idea di un libraio parigino, André Le Breton, di far tradurre a Denis Diderot (1713-1784) la Cyclopaedia, o Dizionario universale delle arti e delle scienze (1728) dell’inglese Ephraim Chambers (1680-1740), membro della Royal Society di Londra ed autore di quello che all’epoca era ritenuto un punto di riferimento per la circolaizone del sapere. Breton si associa con tre colleghi (David, Durand e Briasson) ma è Diderot, affiancato da Jean-Baptiste Le Rond D’Alembert (1717-1783) per la parte matematica, a trasformare il progetto originale in un piano di ben più ampio respiro, riversando nei volumi di Le Breton tutta la tensione al rinnovamento filosofico e politico-sociale che animava l’Illuminismo e il gruppo dei philosophes.

Per quanto riguarda la cronologia dell’opera, il primo volume viene pubblicato nel luglio del 1751, mentre il secondo volume esce l’anno seguente (nel 1756, alla pubblicazione del sesto volume, le sottoscrizioni saranno più di quattromila). La pubblicazione deve tuttavia subire più d’una battuta d’arresto, a causa delle aspre opposizioni di gesuiti, giansenisti e dell’ambiente religioso di corte; grazie all’aiuto di Madame de Pompadour e del giurista Guillame Malesherbes, un anno dopo, nel 1753, può uscire anche il terzo volume. Nel 1757 la produzione entra in crisi a causa di problemi tra i collaboratori (alcuni dei quali, come D’Alembert, abbandonano il progetto), dovuta principalmente alle tensioni dovute a una campagna di diffamazione contro gli enciclopedisti e all’inasprimento della censura dopo un attentato a Luigi XV. Dopo svariati anni di direzione solitaria di Diderot, affiancato solo da pochi amici devoti, nel 1772 esce l’ultimo tomo dell’Encyclopédie, che annovera diciassette volumi di voci ed undici di tavole illustrate.

 


BREVE STORIA DELL'ARCADIA napoletana

Arcadia

Napoli fu soggiogata agli spagnoli, poi all'Austria dal 1707, di nuovo agli spagnoli dal 1735, fino a conquistare l'indipendenza nel 1759 sotto Ferdinando di Borbone. Lo stato di asservimento, nella quale versava la popolazione, artisti compresi, unità alla splendida genialità partenopea, garantì la continua produzione di Opere liriche, che mantenne il suo primato qualitativo in tutta Europa. Le melodie napoletane si distinsero per la malinconia di certe soluzioni armoniche, che ben riflettevano la mancanza di libertà sociale. Un nuovo Teatro nel 1737 prese il posto del vetusto San Bartolomeo, cioé il San Carlo di Napoli (in omaggio al sovrano). Furono messe in scena Opere Buffe, che iniziarono un nuovo genere e influenzarono la musica europea, specie l'Opera e la Canzone francesi. A Napoli si sancì la demarcazione tra i generi serio e buffo. Questo avvenne per la prima volta al mondo. Gli argomenti dei nuovi lavori erano ambientati nel mondo della borghesia. I personaggi si ispirarono alle Compagnie di Commediografi, che erano attori, e insieme cantanti professionisti. All'Opera buffa si dedicarono musicisti napoletani, rappresentanti di botteghe musicali di prim'ordine. Quella era la musica d'avanguardia del tempo. Gli spettacoli si tennero prima nel Teatro dei Fiorentini, poi nel Teatro Nuovo e infine in quello Del Fondo.


SPIGOLATURE. UN PO' DI STORIA...... LA MUSICA, ESPRESSIONE DI UN SECOLO


La musica, linguaggio universale ed espressione profonda dell’arte, ha caratterizzato e segnato da sempre le epoche ed i periodi storici, diventando parte integrante della cultura e delle tradizioni di ogni popolo. La musica italiana vera e propria si è sviluppata solo a fine Ottocento: fino ad allora, protagonista e regina indiscussa del mondo musicale fu quella in dialetto e soprattutto quella napoletana. Da ricordare che i primissimi canti napoletani divulgati a Napoli erano tutti di matrice ellenica.

Solo nel 1500 comparve a Napoli la villanella, ovvero la canzone villanesca profana, che gettò le basi della vera e propria canzone napoletana. A seguire, nel 1600 nacque la famosissima tarantella e nel 1700, oltre alla diffusione dell’opera buffa, genere teatrale, basato anch’esso sulla canzone, fu sempre più in voga l’ “usanza” di fare serenate alle donne amate. Canti popolari divennero opere buffe e viceversa.


Il 1700 LA MUSICA PARTENOPEA.

FENESTA VASCIA autore anonimo

Fenesta Vascia

 

Parole di Giulio Genoino (Frattamaggiore, 1773; Napoli, 1856).
Musica di Guglielmo Cottrau (Parigi, 1797, Napoli, 1847).
Composta nel 1825, pubblicata dalla Casa Editrice Girard.

Fenesta Vascia è una Canzone del 1500, sopravvissuta nella trascrizione di Guglielmo Cottrau. Questo padre della Canzone Napoletana moderna affidò il testo al poeta Giulio Genoino, che rispettò fedelmente i versi del 1500, adattandoli al napoletano del 1800. La poesia è in due ottave di endecasillabi, in rima alternata ABABABAB. La musica fu scritta in origine per il calascione, cioé un tipo di liuto, sostituito poi dal mandolino.

testo della Canzone

in napoletano

Fenesta vascia 'e padrona crudele,
quanta suspire mm'haje fatto jettare!...
Mm'arde stu core, comm'a na cannela,
bella, quanno te sento annommenare!
Oje piglia la 'sperienza de la neve!
La neve è fredda e se fa maniare...
e tu comme si' tanta aspra e crudele?!
Muorto mme vide e nun mme vuó' ajutare!?...

Vurría addeventare nu' picciuotto,
cu na langella a ghire vennenn'acqua,
Pe' mme ne jí pe chisti palazzuotte:
Belli ffemmene meje, ah! Chi vó' acqua...
S'affaccia na nennella da llá 'ncoppa:
Chi è 'stu ninno ca va vennenn'acqua?
E io risponno, co parole accorte:
Só' lacreme d'ammore e nunn'è acqua!...

traduzione

Finestra bassa di una padrona crudele,
quanti sospiri mi hai fatto sprecare!...
Questo cuore m'arde come una candela,
bella, quando ti sento nominare! 
Sù, prendi ad esempio la neve!
La neve è fredda ma si fa accarezzare...
E tu perché sei così aspra e crudele?!
Mi vedi mezzo morto e non mi vuoi aiutare!?....

Vorrei diventare un bel garzone,
e andare con la brocca a vender l’acqua,
e poter gridar tra questi palazzi
“Donne mie belle, ah! chi vuole l’acqua...”
Si affaccia una ragazza lassù in alto:
“Chi è il bel garzone che vende l’acqua?”
Le risponderei con parole accorte:
“Sono lacrime d’amore, non è acqua!...”


LO CARDILLO

Ci sono anche tantissime leggende sui cardellini. Nell’antica cultura partenopea il cardellino rappresentava lo spirito dell’uomo che volava via al momento della morte. Questo significato fu poi assorbito nella successiva cultura cristiana che lo collegò alla passione del Cristo. Una leggenda narra infatti di un cardellino che tentando di estrarre le spine dalla testa di Gesù in croce si macchiò col suo sangue restando così per sempre con la macchiolina rossa sul capo. Questa tradizione la si ritrova nella Madonna del cardellino, un quadro dipinto da Raffaello Sanzio nel 1506 e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. In questa opera un piccolo San Giovanni Battista offre un cardellino a Gesù bambino come simbolo della Passione che sarà da venire.

In ultimo non poteva mancare la connessione con la canzone classica napoletana. Questo uccello ha infatti ispirato una delle più belle canzoni napoletane della prima metà dell’ottocento intitolata proprio Lo Cardillo (conosciuta anche col titolo Lo Cardillo ‘nnammurato). Si tratta di un antico canto popolare napoletano che nel 1849 fu rielaborato ed adattato da Ernesto del Preite e Pietro Labriola. Ed è proprio questa la versione che ci è pervenuta. In questa canzone un innamorato deluso decide di istruire il suo cardellino in modo che questi possa volare dalla donna amata e spiarla.


LO CARDILLO autore anonimo


BREVE STORIA DELLA CANZONE

La canzone “Lo Cardillo” è simile, per tema ed autore, alla precedente “Fenesta Vascia”, l’amore senza speranza, è diversa per il mezzo ideato per comunicare con l‘amata, l’innamorato ricorre ad un cardellino, l’uccellino simbolico della cultura napoletana, che lo considera il messaggero d’amore. La storiografia della canzone è difficile per notizie scarse e perfino contrastanti, una ricerca seria in Biblioteche, come la Lucchesi Palli o la Berio, richiede molto tempo che, purtroppo, mi manca. Della canzone esiste, forse, l’originale di fine ‘600/inizio ‘700, oppure solo la trascrizione di Pietro Labriola (1820-1900) per la musica e di Ernesto Preite (o Del Preite) per il testo, del 1848 o 1878, dati contrastanti ricavati dalle uniche fonti reperite. Il testo è composto di quattro “ottave siciliane” di decasillabi anapestici, con accenti su terza, sesta e nona sillaba in rima alternata con schema ABABCBCB (l’ottava classica o toscana ha lo schema ABABABCC) di cui la metà tronchi di 9 sillabe, un tipo di metrica poco diffusa, sia da poeti classici che in componimenti popolari, strambotti e villanelle. L’analisi della metrica porta a pensare che l’originale fosse di endecasillabi, modificata in decasillabi anapestici nella trascrizione ottocentesca per adattarla alla chitarra o allo strumento usato dal Labriola. Riporto il testo, con la traduzione mia personale, non proprio letterale.

La rima, imperfetta nel testo scritto, è perfetta nella dizione corretta napoletana, dove il finale di parola, pronunciato sempre “sfumato”, non ne definisce il genere, affidato all’articolo o aggettivo che la precede. Nella seconda strofa, le parole durmenno e penne, nella terzachianu e mano, sono in rima se pronunciate con la “e” finale in francese, sfumandola. Analogamente nella prima, ‘nnanze e distante sono in rima se ‘nnanze è pronunciato ‘nnante, come in varie zone campane.

La musica, adatta a vari strumenti, con il mandolino esprime al meglio quel timbro partenopeo di sottile ed indefinibile malinconia, la storica rassegnazione al destino.

La traduzione letterale del testo, per cantarlo in italiano, ne altera il significato, per la differente sintassi e glottologia tra le due lingue, anche per i termini adattati nella trascrizione ottocentesca, la traduzione all’impronta richiede dei giri di frase che contraggono o allungano il verso.

Il testo conosciuto non permette di stabilirne il periodo della stesura, certamente risale all’epoca del Vicereame spagnolo, periodo in cui uno scrittore doveva riguardarsi dalla “censura opprimente” del governo, come testimonia la “fuga“ a Venezia di molte “Villanelle” e la loro pubblicazione in quella città, da dove si sono diffuse in tutto il mondo. All’epoca erano molto conosciute in Francia ed altri paesi europei, colonie comprese, più che nell’Area di influenza spagnola (Napoli, Palermo).

Quel periodo storico (1528-1713) portò il Regno di Napoli, in particolare la città, ad un degrado del tessuto umano, ancora oggi evidente, trasformando un popolo attivo in fatalista ed importò il modo di vivere del “buscar gomorra” cioè “attaccar briga” tipico della malavita della Castiglia e l’Aragona.

Dopo il 1815, col Regno di Ferdinando 1° “o Rre Nasone”, ad opera di Guglielmo Cottrau iniziò la riscoperta delle villanelle dei secoli precedenti, di poeti per lo più anonimi o con pseudonimo (vedi Velardiniello) per convenienza o scelta personale, mentre la tecnica le indicava da poeta colto.

Lo Cardillo

Il Cardellino

Sto crescenno nu bello cardillo

Quanta cose che l'aggio 'mpara'

Adda ire da chisto e da chillo

Ll'immasciate po' m'adda purta'

Siente cca' bello mio lloco 'nnanze

c'e' na casa 'na nenna 'nc'e' stà

tu la vide ca nun è distante

chella nenna aje da ire a truvà.

 

Si la truove ca stace durmenno

pe' 'na fata gue' nun 'a piglia'

nu rummore nun fa cu li penne

guè cardì tu l'avissa scetà?

Si affacciata po' stà a lu barcone

Pe' na rosa l'avisssa piglià?

Gue' cardi' vi' ca lla' nun te stuone

Va vattenne cardi' n'addurà.

 

Si la truove che face l'ammore

'stu curtiello annascunnete cca'

'nficcancillo deritto allu core

e lu sango tu m'aje da purtà.

Ma si pensa vattè chianu chianu

Zitto zitto te nce l'aje accustà.

Si afferrà po' te vo' co' la mano

priesto 'mpietto tu l'aje da zumpa'.

 

Si te vasa o t'afferra cianciosa

tanno tu l'aje a dire accussiì:

"lu patrone pe' te nun reposa

puveriello pecchè adda murì."

T'accarezza te vasa ah… viato

chiu' de me tu si certo cardi'

Si cu' tico cagnarme m'è dato

doppo voglio davvero muri'.

Sto allevando un bel cardellino

Quante cose gli devo insegnare,

deve andare da tizio e da caio

i miei messaggi deve a loro portare.

Ascoltami, mio caro, qui davanti

C’è una casa con una cara ragazza,

la puoi vedere, non è poi lontana,

a quella ragazza devi andar a far visita.

 

Se quando arrivi s’è addormentata

Non confonderla con una fata,

non far alcun rumore con le ali,

oh, cardellino, mica la devi svegliare?

Se invece sta affacciata al balcone

Non confonderla con una rosa,

oh, cardellino, vedi di non inebriarti,

allontanati, non sentirne il profumo.

 

Se, invece sta a fare all’amore,

porta di nascosto questo coltello,

glielo immergi diritto nel cuore

ed il suo sangue mi devi portare.

Se sta meditando, va piano pianino,

silenzioso ti devi avvicinare.

Se poi ti vuol prendere in mano

saltale immediatamente sul petto!

 

Se ti bacia o ti fa delle coccole

In quel momento devi dirle così:

“il padrone a causa tua più non dorme

Poveretto, perché dovrebbe morire”.

Ti accarezza, ti bacia ah ….. beato

Più di me, di certo, lo sei cardellino,

se io con te potessi scambiarmi

allora, vorrei veramente morire!

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SPIGOLATURE....... L'ARCHITETTURA, LA SCULTURA, LA PITTURA, SONO LA CHARA ESPRESSIONE DI UN SECOLO

Reggia di Caserta

La Reggia di Caserta era il palazzo reale dei Borbone, sovrani di Napoli e di Sicilia. Fu progettata dall'architetto Luigi Vanvitelli; a lui Carlo III di Borbone aveva commissionato, nel 1751, la costruzione di un edificio che competesse con la reggia di Versailles, in Francia. I lavori si conclusero nel 1774.
La reggia è un magnifico edificio a cinque piani: comprende 1.200 stanze, 1.970 finestre e 34 scaloni. È circondata da un parco, anch'esso progettato da Luigi Vanvitelli, ornato con fontane, statue, laghetti.

Antonio Canova (1757-1822) scolpì la celebre statua in marmo dedicata a Paolina Borghese tra il 1805 e il 1807. La scultura, in stile neoclassico, raffigura la sorella di Napoleone Bonaparte e moglie del principe Camillo Borghese. È conservata alla Galleria Borghese di Roma.

David: La morte di Marat

Il pittore francese Jacques-Louis David (1748-1825) eseguì questo famoso dipinto nel 1793. Il quadro è un ottimo esempio di pittura storica: raffigura infatti la morte del rivoluzionario francese Jean-Paul Marat, assassinato da Charlotte Corday nello stesso 1793.

Ingres: Grande odalisca

La Grande odalisca del pittore francese Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867) è un'opera di gusto neoclassico, anche se il soggetto orientale non è tipico dei pittori neoclassici.
Il dipinto fu realizzato nel 1814 e all'epoca fece scandalo, non perché raffigura una donna nuda, ma perché la spina dorsale è troppo lunga! Il pittore aggiunse (volontariamente) tre vertebre. Il quadro è oggi conservato al Museo del Louvre a Parigi.


E... ANCORA: POETI, SCRITTORI, SAGGISTI, FILOSOFI.

Copertina di Dei delitti e delle pene

L'opera di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene fu pubblicata anonima nel 1764, a Livorno. In essa Beccaria criticava fortemente l'uso della tortura e soprattutto condannava senza mezzi termini la pena di morte, che definì "né utile né necessaria".


Giuseppe Parini

Giuseppe Parini (1729-1799) compose odi e poesie che uniscono passione civile e forma classicheggiante. Di ispirazione illuminista sono in particolare le prime Odi, nelle quali esalta il "fare" e il progresso. Le ultime opere (Il giorno e le Odi più tarde) riflettono invece la delusione del poeta: alla passione civile si sostituiscono temi come la bellezza femminile.


Vittorio Alfieri

Vittorio Alfieri (1749-1803) fu uno spirito irrequieto e ribelle a ogni forma di autorità. Compose oltre venti tragedie, che stampò a spese proprie e che destinò a un pubblico colto, raffinato e aristocratico, non a compratori anonimi. Tra queste tragedie, le più famose sono Antigone, Saul e Mirra.
Alfieri scrisse anche un'autobiografia (Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da lui medesimo). 


Immanuel Kant

Il filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804) è considerato uno dei fondatori del pensiero moderno. Nella Critica della ragion pura, pubblicato nel 1781, attribuì alla ragione i meriti delle conquiste della scienza; nella Critica della ragion pratica, del 1786, attribuì alla ragione la supremazia in campo etico e morale.


Voltaire

Lo scrittore e filosofo francese Voltaire (1694-1778) fu uno dei più importanti esponenti dell'illuminismo, un movimento culturale e filosofico che esaltò la ragione e la scienza.
Voltaire era convinto che la letteratura dovesse avere una funzione sociale e nei suoi scritti condannò severamente l'intolleranza e la tirannia. Fu molto critico anche nei confronti della chiesa cattolica, con la quale ebbe numerosi contrasti. Tra le sue opere ricordiamo: Candido, ovvero l'ottimismo e Il dizionario filosofico.


Jean-Jacques Rousseau

Il filosofo francese Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) fu uno dei principali esponenti dell'illuminismo. Fondamento del suo pensiero filosofico è la convinzione che tutti gli uomini siano per natura buoni e che i mali della società derivino dalla bramosia di ricchezza, dall'ambizione e dalla vanità. Alla società attuale egli contrappose uno stato di natura in cui gli uomini erano "liberi, sani, buoni e felici". Tra le sue opere ricordiamo il Contratto sociale ed Emilio.


Georg Wilhelm Friedrich Hegel

Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) fu il principale esponente dell'idealismo, una corrente filosofica che si affermò in Germania nell'Ottocento. Hegel sostenne che le conquiste più preziose dello spirito umano (la cultura, la scienza e la religione) sono il frutto della dialettica. La dialettica è un metodo per giungere alla verità tramite l'analisi di due idee contrapposte.