LO SCOPPIO DELLA GRANDE GUERRA

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28 GIUGNO 1914 ATTENTATO DI SARAJEVO
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4 NOVEMBRE

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Sappiamo che l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando avvenuto a Sarajevo da parte di un irredentista serbo viene considerata la causa "occasionale" della Prima Guerra Mondiale, ma alla base del conflitto ci furono situazioni molto più complesse e non riconducibili ad un singolo, seppur gravissimo fatto.

Vediamo quindi le cause principali che portarono il mondo intero ad entrare in guerra.
IMPERIALISMO
Per Imperialismo si intende quella pratica di espansione in virtù della quale una nazione, più o meno legittimamente, ne conquista un'altra assoggettandola al proprio governo.  Intorno alla fine del 1800 l'Impero Britannico si estendeva in tutti i continenti e la Francia aveva il controllo di gran parte del suolo africano. Il possesso di tutte queste terre accresceva la rivalità della Germania, che aveva iniziato tardi la sua politica di espansione coloniale e possedeva solo alcuni territori sul continente africano.

 

MILITARISMO

Un atteggiamento di tipo militaristico si verifica quando una nazione pone in grande rilievo il potere dell'esercito e degli armamenti ad esso connessi.  Alla fine del 1800 le nazioni europee, sempre più divise fra loro, aveva portato ad una grande corsa alle armi. Gli eserciti di Francia e Germania erano più che duplicati fra il 1870 e il 1914 ed era sempre viva quella grande rivalità in campo navale fra Inghilterra e Germania.  

 

NAZIONALISMO

Il Congresso di Vienna , in seguito alle guerre napoleoniche, aveva trasformato la Germania e l' Italia in nazioni profondamente divise. Fu grazie ai movimenti nazionalistici che avvenne l'unificazione d'Italia nel 1861 e della Germania nel 1871. La Francia inoltre non approvava la perdita dell'Alsazia e della Lorena, annesse alla Germania dopo la guerra franco-prussiana e, in molte terre appartenenti all'Impero Austro-Ungarico e in Serbia, c'erano forti gruppi indipendentisti che volevano affrancarsi dal governo che le dominava.  

 

ALLEANZE

Il sistema di alleanze che era andato formandosi in Europa  fra il 1879 e il 1914 impediva, di fatto, alle nazioni di decidere liberamente quando e a chi dichiarare guerra, limitando il proprio potere decisionale e accrescendo tensioni fra gli stati.  

 

CRISI INTERNAZIONALI

La crisi marocchina del 1904 vedeva l'Inghilterra cedere lo stato africano alla Francia, ma la popolazione chiedeva fortemente l'indipendenza ed era supportata dalla Germania che non vedeva di buon occhio l'espansione coloniale della rivale Francia. La guerra venne evitata, anche se nel 1911 i tedeschi organizzarono una forte protesta militate contro il dominio francese e vennero poi convinti a ritirare l'esercito grazie all'occupazione di parte del Congo francese. 
Un'altra crisi minava in quegli anni la stabilità europea: nel 1908 l'impero Austro-Ungarico occupò la Bosnia facendo infuriare i Serbi che consideravano quel territorio come una loro provincia. La Serbia minacciò di entrare in guerra contro gli austriaci, aiutata dai Russi. La Germania, allora, si alleò con l'Austria preparandosi per la guerra. Questa guerra venne evitata grazie al ritiro della Russia dall'impegno di aiutare la Serbia, ma la tensione politica fra le nazioni rimase molto alta, tanto da portare a quello che conosciamo come l'eccidio di Sarajevo, pretesto scatenante della Prima Guerra Mondiale. 

 


LE FONTI FANNO PARTE INTEGRANTE DEL PROCESSO STORICO.  DA GUERRA LAMPO A GUERRA DI TRINCEA


La vita nelle trincee

Le trincee sono state uno dei simboli della Grande Guerra. Quando i vari governi europei decisero discendere in campo, tutti erano convinti che si sarebbe trattata di una guerra veloce in cui era essenziale sfruttare il fattore temporale. Invece, dopo poche settimane, i diversi fronti europei si stabilizzarono ed iniziarono ad essere scavate centinaia di chilometri di trincee, dal nord della Francia fino all'Europa orientale, nell'attuale Polonia e nei Balcani. Questi lunghi corridoi, profondi poco meno di due metri, comparvero da subito anche sul fronte italiano, in pianura, sull'altopiano carsico e in alta montagna, in mezzo alla neve. Nonostante il Governo Salandra e il generale Luigi Cadorna avessero dimostrato uno straordinario ottimismo il 24 maggio 1915, la guerra assunse le stesse caratteristiche del resto d'Europa.

Nei musei all'aperto e negli itinerari che oggi si possono visitare, le trincee sono le tracce più significative di quanto successe tra il 1915 ed il 1918. In questo lungo periodo furono la "casa" dei soldati, il luogo dove i militari impegnati al fronte vissero per settimane (se non addirittura mesi) tra una battaglia e l'altra. Nasce quindi spontaneo chiedersi come vennero costruite le trincee, quale fosse la vita di un soldato al loro interno, come dormissero, mangiassero, e quali fossero i problemi di tutti i giorni. In molte testimonianze si possono leggere gli stati d'animo, le emozioni, le paure, la voglia di scappare da quell'inferno. Ma si possono anche cogliere le cronache di vita reale, di come fosse stata organizzata questa convivenza sul fronte, vicino al proprio nemico. 

Si scoprono così le dure regole imposte dai comandi (specie nel periodo di Cadorna) e le punizioni per coloro che si rifiutavano di combattere. Oppure rendersi conto di come molti uomini sentissero il bisogno di affidarsi alla religione e alla fede. Un approfondimento particolare meritano poi gli episodi di "contatto pacifico" fra soldati nemici, quando dalle trincee non venivano sparati dei proiettili ma si scambiavano beni di prima necessità o accordi per paci temporanee. 

La cucina in trincee

Uno dei grandi problemi durante la Grande Guerra fu quello dell'alimentazione sia per la popolazione civile che per i militari. Le battaglie, la militarizzazione dei territori e le razzie (specie nel Friuli e Veneto orientale dopo Caporetto) provocarono devastazioni nei raccolti e lo svuotamento dei magazzini. Le famiglie nelle retrovie furono vittime di carestie e di malattie dovute a carenze alimentari gravi (come la pellagra) mentre il rancio dei soldati diventava ogni giorno più esiguo e scadente.

La scarsa qualità era dovuta alla scelta di cucinare i pasti nelle retrovie e trasportarli durante la notte verso le linee avanzate. Così facendo, la pasta o il riso contenuti nelle grandi casseruole arrivavano in trincea come blocchi collosi. Il brodo si raffreddava e spesso si trasformava in gelatina mentre la carne ed il pane, una volta giunti a destinazione, erano duri come pietre. Scaldarlo una seconda volta non faceva che peggiorare la situazione, rendendo il cibo praticamente impossibile da mangiare. 

Il problema della qualità era parzialmente sopperito dalle quantità distribuite. A differenza infatti del rancio austro-ungarico (molto più esiguo, specialmente nell'ultimo biennio), l'esercito italiano dava ogni giorno ai suoi soldati 600 grammi di pane, 100 grammi di carne e pasta (o riso),frutta e verdura (a volte), un quarto di vino e del caffè. L'acqua potabile invece era un problema e raramente superava il mezzo litro al giorno.
Per coloro che si trovavano in prima linea la gavetta (o gamella) era leggermente più grande. Prima degli assalti inoltre venivano distribuite anche delle dosi più consistenti con l'aggiunta di gallette, scatole di carne, cioccolato e liquori. Oggi in diversi musei si possono ancora ammirare i contenitori di metallo che custodivano i 220 grammi di carne o, a volte, delle alici sott'olio e frutta candita. Ogni scatola era decorata con motti patriottici come "Savoia!" o "Antipasto finissimo Trento e Trieste".

Le punizioni

Uno degli aspetti meno conosciuti della vita in trincea e in retrovia fu quello delle punizioni e dei processi ai soldati. Si trattò di un fenomeno diffuso che coinvolse indistintamente centinaia (e forse migliaia) di uomini.Luigi Cadorna infatti, sin dall'inizio della guerra, aveva ordinato la massima severità per il mantenimento della disciplina e il rispetto dell'autorità. Atteggiamento che, nel corso del conflitto, si irrigidì sempre di più assumendo spesso i contorni di una spietata crudeltà . I soldati che si rifiutavano di uscire dalle trincee durante un assalto ad esempio potevano essere colpiti alle spalle dai plotoni di carabinieri mentre la censura in trincea divenne ogni giorno più oppressiva. Qualsiasi lettera scritta dai soldati non poteva contenere informazioni diverse da quelle pubblicate dai giornali italiani e doveva trasmettere entusiasmo per la guerra. Chi non rispettava queste indicazioni rischiava la condanna al carcere militare

L'aspetto più tragico e crudele furono però le condanne a morte a carico dei soldati. È stato calcolato che tra l'ottobre del 1915 e l'ottobre del 1917 furono eseguite circa 140 esecuzioni capitali dovute ai motivi più disparati. Inizialmente questo provvedimento fu preso solo in casi di estrema gravità (ad esempio per diserzione o spionaggio) ma successivamente si estese anche a casi apparentemente meno gravi. Un soldato poteva essere fucilato per essere ritornato in ritardo dopo una licenza oppure per essere stato sorpreso a riferire o scrivere una frase ingiuriosa contro un suo superiore. Stessa sorte venne prevista per tutti quegli ufficiali che, anche per un solo momento, avessero dubitato della tattica imposta dal Comando Supremo. 

Più la Grande Guerra andava avanti, più gli episodi di crudeltà si moltiplicarono. Ovunque si verificassero disordini, piccole proteste o episodi di insofferenza verso le decisioni prese dai superiori si assistette a delle condanne a morte. Nei casi di un reato commesso da un gruppo di soldati (come una brigata), la strada prescelta era quella della decimazione.
Uno dei casi più celebri fu quello della Brigata Catanzaro, avvenuto a Santa Maria la Longa nel luglio del 1917. I soldati, dopo aver combattuto in prima linea sul Carso isontino, sull'Altopiano di Asiago e poi nella zona del Monte Ermada, furono trasportati nelle retrovie a riposare. Gli uomini erano stremati: da molto tempo le licenze erano state sospese e la difficile vita in trincea li provò notevolmente. Dopo pochi giorni, anziché essere trasferiti in un settore più tranquillo, gli fu ordinato di riprendere la strada verso il terribile Monte Ermada. A quel punto scoppiò la rivolta: 9 soldati e due ufficiali vennero colpiti a morte e solo l'intervento dei blindati e dell'artiglieria leggera fermò l'ira della Brigata Catanzaro. Ristabilita la calma,  i comandi militari decisero di dare un messaggio esemplare: 12 soldati, scelti a caso, vennero giustiziati e 123 furono mandati davanti al Tribunale Militare.

Cimiteri della Grande Guerra

Luciano Marisaldi 19 maggio 2014
La morte di massa
Nei quattro anni della Grande Guerra morirono in azione o per le ferite riportate almeno nove milioni di uomini, più del 13% dei mobilitati. Un  numero di caduti più che doppio rispetto al totale di tutte le guerre dalla Rivoluzione francese al 1914. Nella sola battaglia della Somme, sul fronte occidentale fra il luglio e il novembre 1916, morirono più di un milione di soldati degli opposti schieramenti. La prima guerra mondiale, una guerra industriale e moderna, inaugurò la morte di massa, “che la seconda portò a uno spietato compimento” (J. Keegan). Ma se la morte era ovunque, il lutto apparteneva a ogni singola famiglia, che aveva bisogno di un luogo in cui piangere il proprio congiunto. 
Tutti gli stati coinvolti dovettero affrontare il problema di dare rapidamente sepoltura a tanti morti sul campo di battaglia, con tutto ciò che questo comportava: riconoscimento spesso impossibile, ricostituzione dei corpi, recupero di effetti personali da restituire alle famiglie, aggiornamento degli elenchi. 
Nell’immediato, i morti sui campi di battaglia del fronte occidentale e di quello italo-austriaco furono sepolti nei cimiteri civili della zona, dove possibile, o in cimiteri improvvisati nei pressi; ne furono realizzati migliaia. Spesso le croci erano ricavate dai supporti dei reticolati. La maggior parte dei soldati trovò sepoltura frettolosa in fosse comuni, ma molte migliaia letteralmente sparirono, dilaniati nelle trincee sconvolte o sepolti sotto le valanghe e nei crepacci del fronte alpino. Quelli che morivano negli ospedali delle retrovie trovavano generalmente posto nei cimiteri del villaggio più vicino, talvolta in spazi appositamente recintati. Cimiteri furono allestiti anche in prossimità dei campi di prigionia. Sul fronte orientale, assai più mobile, è incalcolabile il numero di soldati (turchi, russi, austro-tedeschi) che non poterono avere una sepoltura degna di questo nome.

Di fronte all’enormità della tragedia s’impose ai governi – ma ebbe soluzione solo nel dopoguerra – anche un compito spirituale: far sì che la sepoltura rimandasse a un valore ideale, al mito del soldato sacrificatosi per il bene superiore della patria o per la gloria del suo impero. I cimiteri divennero così, negli anni fra le due guerre, “templi del culto nazionale” (G. L. Mosse), insieme ai monumenti ai caduti che costellano l’Europa.

Cimiteri e sacrari in Italia

Un regio decreto del maggio 1919 istituì una Commissione nazionale per le Onoranze ai caduti in guerra (il Commissariato Onorcaduti, che fa capo al ministero della Difesa, ne è la forma attuale). Un apposito ufficio con sede prima a Udine, poi a Padova inquadrato nel Ministero della guerra ebbe il compito di organizzare l’esplorazione di tutti i campi di battaglia per rintracciare ogni tomba isolata, esumare le salme, ricercare i corpi dispersi, tentare il riconoscimento e raccogliere le ossa. Questa fase del lavoro impegnò più di 3500 soldati e nel 1920 furono raccolte 70.000 salme insepolte e 175.000 da sepolture improvvisate. Era anche un lavoro pericoloso, per le condizioni in cui si trovavano i campi di battaglia. I cimiteri allestiti durante la guerra, che sul fronte italo-austriaco erano più di 2500, furono progressivamente accorpati e ridotti di numero: nel 1934 erano 349 (oggi sono circa la metà); a questi si aggiungevano i numerosi cimiteri civili che contenevano file separate di sepolture militari. Nello stesso periodo si provvide all’allestimento di cimiteri italiani all’estero: in Francia, Belgio, Austria, Macedonia, Albania. Durante il ventennio fascista anche l’allestimento e la cura dei cimiteri di guerra vennero considerati dal regime come un tassello della celebrazione di una guerra vittoriosa e del valore guerriero della nazione. I cimiteri militari, luoghi di riposo e di pace, non furono reputati sufficienti a questo scopo. Si progettò allora di realizzare alcuni Sacrari monumentali nei quali raccogliere in ossari una grande quantità dei caduti sui diversi fronti: sul Carso, negli Altipiani e nel Grappa. Il primo carattere dei Sacrari era la monumentalità: erano strutture complesse cariche di simboli prevalentemente laici, che esaltavano l’eroismo e miravano a risvegliare un sentimento di orgoglio nazionale; un messaggio molto diverso da quello dei semplici cimiteri di guerra con la loro dolente atmosfera di pace e i tanti simboli cristiani. Alcuni dei Sacrari furono inaugurati nel 1938, ventennale della vittoria (ma anche anno cruciale nell’inarrestabile marcia verso la seconda guerra mondiale). A quell’anno risale appunto l’inaugurazione del più grande dei Sacrari, quello di Redipuglia, destinato a raccogliere i caduti delle battaglie del Carso, che contiene le spoglie di centomila soldati, di cui solo 40mila identificati. I campi di battaglia su suolo italiano cominciarono a essere meta di un nuovo turismo della memoria circa dieci anni dopo la fine della guerra; è del 1929 la guida “storico-turistica” del Touring Club Italiano Sui campi di battaglia. L’interesse per questi luoghi non ha fatto che crescere e oggi una rete di “sentieri di pace” copre tutte le regioni dove si è tanto combattuto. Il tratto più spettacolare va dal fronte dolomitico, agli Altipiani e al Grappa: sono stati riattati edifici, trincee, camminamenti di accesso alle linee e sono stati allestiti veri e propri “musei all’aperto”. Concludere le escursioni con la visita al più vicino cimitero di guerra aiuta a dare la giusta dimensione all’esperienza.

questo link si trovano informazioni (storiche e turistiche) sui cimiteri militari della Grande guerra in Italia.

Nota bibliografica

G. L. Mosse, Le guerre mondiali dalla tragedia al mito dei caduti, Laterza, Bari 1990

J. Winter, Il lutto e la memoria. La Grande guerra nella storia culturale europea, Il Mulino, Bologna 1998

J. Keegan, La prima guerra mondiale, Carocci, Roma 2000

Enciclopedia Treccani, Appendice I (1938), voce “Cimiteri di guerra”


LA STORIA RACCONTATA ATTRAVERSO LA CANZONE



La mappa artistica dell’Europa prima della Prima Guerra Mondiale

Decisamente meno ironica è la cartina disegnata dall’abile mano dell’artista tedesco Walter Trier, che vuole rappresentare l’Europa all’alba dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Un lavoro di grande valore artistico, ma anche storico.