PATTO TRIPARTITO

Eccezionale documento storico dagli archivi del governo americano: firma del Patto tripartito tra Italia, Germania e Giappone alla presenza del Führer Adolf Hitler. Il patto tripartito o trattato tripartito (detto anche "Asse Roma-Berlino-Tokyo") fu un accordo sottoscritto a Berlino il 27 settembre 1940 dal governo del III Reich tedesco (ministro degli Esteri barone Joachim von Ribbentrop), dal Regno d'Italia (ministro degli Esteri conte Galeazzo Ciano) e dall'Impero del Giappone (ministro degli Esteri Saburō Kurusu) al fine di riconoscere le aree di influenza in Europa ed Asia. In Italia esso fu subito battezzato "Roberto", acronimo di Roma-Berlino-Tokio.


LA REPUBBLICA DI SALO' 

Dopo la liberazione dalla prigionia di Campo Imperatore, e l’annuncio fatto il 18 settembre da Radio Monaco, Mussolini costituisce ufficialmente il governo fascista della Repubblica Sociale Italiana, Rsi, con capitale Salò, sul lago di Garda. Il nuovo Stato si propone di combattere contro i “traditori” del 25 luglio. La Repubblica di Salò cerca il consenso popolare riesumando gli slogan del primo fascismo e lanciando un programma di socializzazione delle imprese industriali, che non riuscirà mai a realizzare. L’unica funzione svolta dalla Repubblica di Salò è quella di reprimere e combattere il movimento partigiano, e di interporsi come Stato-cuscinetto, tra il territorio tedesco e gli Alleati che risalgono la penisola.



PARTIGIANI CROTONESI

 

Alberto Andreani

Veneto Calabria Medaglia d'Oro al Valor Militare

Nato a Crotone nel 1902, deceduto a Massa Carrara il 3 ottobre 1951, ufficiale di carriera, Medaglia d'oro al valor militare.

Dopo l'Accademia a Modena e l'impiego, come tenente, in Africa, l'ufficiale frequentò a Torino l'Istituto superiore di guerra. Nel maggio del 1943, Andreani era tenente colonnello nel XIX Corpo d'Armata e dopo l'armistizio partecipò alla Resistenza nell'organizzazione militare dipendente dal CLN di Verona. Nell'aprile del 1944, all'ufficiale fu affidato il comando di un raggruppamento di battaglioni partigiani molto attivi nel Veronese. Andreani, braccato dai tedeschi, nell'ottobre del 1944 finì per cadere nelle loro mani insieme al tenente colonnello Giovanni Fincato.

La motivazione della MdO ad Alberto Andreani dice: "Subito dopo l'armistizio, soldato deciso e fedele, intraprendeva la lotta di liberazione molto distinguendosi per esimie doti di animatore e di organizzatore e fornendo, in numerose e difficili circostanze, belle e sicure prove di coraggio. Attivamente ricercato dai tedeschi finiva per cadere, insieme ad un collega, in mani nemiche. Interrogati sulla organizzazione partigiana venivano, a causa del fiero silenzio, sottoposti ad inaudite sevizie che, protrattesi per più giorni, causavano la morte del collega e compagno di martirio che spirava fra le braccia del tenente colonnello Andreani. Per altri sei giorni si protraevano sul vivente le torture senza poterlo indurre a deflettere dal nobile ed esemplare atteggiamento. Ridotto una larva di uomo, pressoché cieco ed ormai mortalmente lesionato, trovava ancora la forza di tenere alta, fra i compagni di prigionia, in un campo di concentramento germanico la fede nell'avvenire della Patria".

 

In effetti Andreani, deportato nel campo di Bolzano, fu liberato, ridotto ad una larva umana, nell'aprile del 1945. Curato nell'Ospedale militare di Verona, poté riprendere servizio soltanto nel novembre del 1948. Vice comandante del 132° Reggimento carristi della Divisione "Ariete", Andreani fu promosso colonnello nel gennaio 1951, quando gli fu affidato il comando del Distretto militare di Massa Carrara. Qui si spense qualche mese dopo.

 

Giulio Nicoletta

Piemonte Calabria Medaglia d'Argento al Valor Militare

Nato a Crotone il 21 agosto 1921, deceduto a Giaveno (Torino) il 23 giugno 2009, Medaglia d'Argento al valor militare.

 

Al momento dell'armistizio, ancora studente, si trovava nel Vercellese, come sottotenente di Fanteria del 1° Reggimento carristi. Era subito entrato nella Resistenza, costituendo una banda partigiana nella zona di Bruino (TO). Ferito in combattimento contro i nazifascisti a Trana (TO), nel gennaio del 1944, Nicoletta, con i suoi uomini, era entrato a far parte della 43ma Divisione autonoma "Sergio De Vitis", di cui, (durante i lunghi mesi della lotta contro nazisti e fascisti), era diventato il comandante. Molto apprezzato per il suo coraggio e le sue doti di ponderatezza, Nicoletta, nell'aprile del 1944, aveva condotto con i tedeschi le trattative per la liberazione degli ostaggi che erano nelle loro mani a Cumiana (TO). Violando gli accordi i nazisti massacrarono cinquantuno cumianesi, in cui ricordo, là dove sorgeva la cascina Riva d'Acaia, è stata eretta una grande Croce con l'epigrafe: "In questo luogo 51 cumianesi, cittadini esemplari e rimpianti, vittime innocenti e pure, la ferocia nazista trucidava. 3.4.1944". Nicoletta, con i suoi partigiani, nei giorni dell'insurrezione fu tra i primi ad entrare a Torino, per difendere la città e impedire che vi entrassero le truppe del generale Schlemmer. Rimasto in Piemonte dopo la Liberazione, il comandante partigiano calabrese (a cui il Comune di Giaveno, dove abitava, attribuì la cittadinanza onoraria e che si è sempre impegnato per tenere alti i valori della Resistenza), riposa ora nel cimitero del suo paese di adozione.


DONNE E RESISTENZA PARTIGIANA


Le donne nella Resistenza

Armate o disarmate, d'ogni fascia sociale e di ogni professione, giovani e meno giovani, meridionali e settentrionali, antifasciste per scelta personale, tradizione familiare o più semplicemente “di guerra” – cioè per quell'opposizione che si sviluppa sulla base della quotidianità fatta di bombardamenti, fame, lutti, dei quali si incolpa a ragione il regime – destinate a fare dell'opzione di lotta un elemento determinante della propria esistenza o un (mai semplice) passaggio biografico estemporaneo, le donne non offrono alla Resistenza solo un contributo, ma partecipano attivamente, ponendosi come elemento imprescindibile della lotta stessa nelle sue varie declinazioni.

Le donne sono le protagoniste principali (ma non uniche) della Resistenza civile. Alcune loro azioni di massa ottengono risultati estremamente concreti e importanti da un punto di vista strategico e politico: si pensi alle donne che, nella Napoli occupata del settembre 1943, impediscono i rastrellamenti degli uomini, facendo letteralmente svuotare i camion tedeschi già pieni, e innescando così la miccia dell'insurrezione cittadina. Si pensi, ancora, alle cittadine di Carrara che, nel luglio 1944, resistono agli ordini di sfollamento totale impedendo ai tedeschi di garantirsi una  una comoda via di ritirata verso le retrovie della linea Gotica. Al di là dell'impegno nell'opposizione civile, le donne sono parimenti importanti nella lotta armata partigiana: non solo staffette, sono combattenti armate nelle bande extra-urbane, membri dei GAP e delle SAP in città e nelle fabbriche, addette ai fondamentali servizi logistici – «un insieme di compiti complesso e pericoloso senza il quale nessun esercito potrebbe esistere […]organizzatrici di manifestazioni contro la guerra, a favore dei detenuti e dei deportati, o in onore dei partigiani caduti. Ancora, sono militanti attive dei Gruppi di difesa, creati dalle donne e per le donne quale vera e propria struttura politica che, sulla scorta di un «programma di affermazione di diritti e opportunità», rivendica la «titolarità delle azioni femminili» nella Resistenza (Ivi, p. 279.)

 

La lotta di Liberazione offre alle donne la «prima occasione storica di politicizzazione democratica»  Testimonianze di partecipazione politica femminile, ma si tratta di un'esperienza non priva di contraddizioni: in un universo in cui permane la «centralità del paradigma del maschio guerriero», che fa della lotta armata una modalità prettamente maschile, conservando «archetipi culturali» che richiederanno altri decenni per essere anche solo scalfiti, le donne partigiane imbarazzano e destabilizzano anche coloro che, al loro fianco o con loro al proprio fianco, hanno combattuto per dar vita a qualcosa di radicalmente nuovo. È per questa ragione che, alla Liberazione, le donne sono escluse da molte delle sfilate partigiane nelle città liberate; in precedenza, non erano mancate, tra i compagni di lotta, le voci che criticavano la scelta femminile di abbandonare il focolare per impegnarsi nella guerra partigiana, che implica convivenza, promiscuità, assenza di controllo parentale. Oltre a questo, anche la Resistenza cerca spesso donne che siano disposte a continuare a svolgere, per quanto delocalizzate dagli spazi consueti dell'esistenza di generazioni e generazioni femminili, i compiti classici dell'assistenza e della cura: quindi, più che combattenti, si vogliono donne madri e spose, cuoche e infermiere. Alle donne, in sintesi, si dimostra gratitudine e rispetto, ma non riconoscimento politico o militare: «Per molte che combattono, poche accedono a ruoli politici o militari di rilievo, pochissime diventano comandanti o commissari politici. Il grado più alto attribuito alle donne è quello di maggiore, che riguarda comunque una piccola minoranza; quelli più diffusi, tenente e sottotenente» (A. Bravo, Resistenza civile, cit., p. 273). Sebbene impiegate in ambiti diversi all'interno del molteplice universo della Resistenza – le donne riassumono in sé quasi tutte le anime plurali dell'opposizione al nazifascismo, dall'estremo della lotta armata a quello della resistenza disarmata – gli elementi femminili risultano quasi “condannati” al compito ancillare e ausiliario, al ruolo «vago e miniaturizzante» (Ivi, p. 272) di staffette, che, tuttavia, è solo apparentemente meno pericoloso, in quanto implica la trasmissione di materiali (ordini, direttive, armi, munizioni etc.) talmente scottanti da esporre a rischi serissimi i latori, che per giunta sono disarmati e quindi materialmente incapaci di difendersi. Questa sottovalutazione riguarda lo svolgersi della lotta e soprattutto ciò che accade dopo la conclusione vittoriosa di essa: pochissime (35.000 a fronte di 150.000 uomini) sono le donne alle quali sarà riconosciuta la qualifica di partigiana combattente, nonostante un impegno, nei fatti, molto più significativo. Tante donne, presumibilmente, non chiederanno il riconoscimento; a tante, materialmente, esso sarà ingiustamente negato.


PROCESSO DI NORIMBERGA

PROCESSO DI NORIMBERGA è il nome usato per indicare due distinti gruppi di processi ai nazisti coinvolti nella seconda guerra mondiale e nella Shoah. I processi si tennero nel Palazzo di Giustizia della città tedesca di Norimberga dal 20 novembre 1945 al 1º ottobre 1946 (la città era, insieme a Berlino e Monaco, una delle città simbolo del regime nazista).

Il primo e più famoso di questi processi fu il Processo dei principali criminali di guerra davanti al Tribunale militare internazionale (IMT), che giudicò ventiquattro dei più importanti capi nazisti catturati o ancora ritenuti in vita.

 Il secondo gruppo di processi fu per criminali di guerra inferiori, tenuto sotto la Legge numero 10 del Consiglio di Controllo dal Tribunale militare di Norimberga (NMT), e comprese anche il famoso Processo ai dottori

La decisione di sottoporre a processo i principali esponenti dell'Asse fu presa ancor prima della cessazione della guerra. Dal 18 ottobre all'11 novembre del 1943 si svolse a Mosca la terza conferenza tripartita di Mosca, con la presenza dei tre ministri degli esteri dell'alleanza, Cordell Hull, Anthony Eden e Vjačeslav Michajlovič Molotov. Come ebbe a scrivere Churchill nelle sue memorie, «l'uccisione di Mussolini ci risparmiò una Norimberga italiana». Al termine dell'incontro venne stilato un documento nel quale i tre capi della coalizione, Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt e Stalin, si impegnavano al termine della guerra a far sì che i criminali nazisti venissero processati secondo le leggi del paese nel quale i crimini fossero stati commessi. Nella successiva Conferenza di Teheran, dal 28 novembre al 1º dicembre dello stesso anno, venne esteso il concetto di crimine nazionale a un più ampio livello, e superato il concetto della punibilità nazionale. Durante gli incontri della conferenza di Teheran (1943), della conferenza di Yalta (1945) e della conferenza di Potsdam (1945), le tre principali potenze del tempo di guerra Stati Uniti, Unione Sovietica e Regno Unito, si accordarono sul metodo per punire i responsabili dei crimini di guerra commessi durante la seconda guerra mondiale. Anche la Francia riuscì a guadagnarsi un posto all'interno del tribunale. Oltre 200 tedeschi imputati di crimini di guerra vennero processati a Norimberga, mentre altri 1 600 attraverso i tradizionali canali della giustizia militare. Nonostante l'Unione Sovietica volesse svolgere i processi a Berlino, venne scelta Norimberga, per le seguenti ragioni:

      Era convenientemente situata nel settore statunitense (a quell'epoca, la Germania era divisa in quattro settori controllati dalle nazioni vincitrici).

      Il palazzo di Giustizia era spazioso e praticamente intatto. Una grande prigione faceva parte del complesso.

      Norimberga era stata nominata la città delle "Celebrazioni del Partito del Reich" (Reichsparteitag), e c'era un valore simbolico nel renderla la sede della sconfitta finale del partito nazista.

 

      Si concordò che Berlino sarebbe divenuta la sede permanente del Tribunale Militare Internazionale (IMT) e che il primo processo (ne erano stati previsti diversi) si sarebbe tenuto a Norimberga. A causa della guerra fredda non ci furono altri processi.

Eccezionale documentario storico. Il Processo di Norimberga del 1946. Processo dei principali criminali di guerra davanti al Tribunale militare internazionale (IMT), che giudicò ventiquattro dei più importanti capi nazisti catturati (o ancora ritenuti in vita) coinvolti nella seconda guerra mondiale e nella Shoah. Il processo si tenne nella città tedesca di Norimberga (Nürnberg) dal 20 novembre 1945 al 1º ottobre 1946 nel Palazzo di Giustizia di Norimberga (la città era, insieme a Berlino e Monaco, una delle città simbolo del regime nazista). Tutti gli imputati condannati a morte vennero impiccati il 16 ottobre 1946 (tranne Hermann Göring, che riuscì a suicidarsi il giorno prima dell'esecuzione con del cianuro di potassio), nel seguente ordine: von Ribbentrop, Keitel, Kaltenbrunner, Rosenberg, Frank, Frick, Streicher, Sauckel, Jodl, Seyß-Inquart. Il boia fu il sergente statunitense John C. Woods. I cadaveri dei gerarchi vennero poi cremati nei forni del lager di Dachau e le loro ceneri gettate nel rio Conwentz (Conwentzbach).

 

PER SAPERNE DI PIU' SUL PROCESSO VAI AI LINK    https://www.youtube.com/watch?v=I8QwlzKtQEo

DOPO L'OLOCAUSTO LA VENDETTA DEGLI EBREI  vail la link    https://www.youtube.com/watch?v=yryAUp5prEE

 

LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO 1989-2019 

PER VEDERE IL FILMATO VAI AL SEGUENTE LINK

https://www.mediasetplay.mediaset.it/video/tg5/30-anni-dopo-il-muro-lottare-per-liberta_F309453601250D05


LA COSTITUZIONE ITALIANA